Media digitali e comunicazione interattiva sono i fenomeni più eclatanti del mutamento sociale e dell'industria culturale all'inizio del nuovo millennio. Oggi gli iPad, gli eBook, così come gli smartphone, e i Tablet Pc, sempre connessi a Internet, assediano ogni giorno più da presso il regno della carta stampata gutenberghiana. Ma la nuova cultura digitale, cioè l'affermarsi di uno stile comunicativo orientato all'interazione, alla produzione di contenuti e alla condivisione, è stata accompagnata, durante gli ultimi ventanni, dall'affacciarsi sulla scena di una nuova forma evolutiva dell'Homo sapiens: il \"nativo digitale\". Chi sono i nativi digitali? Come comunicano? Come si relazionano al sapere? Nati e cresciuti all'ombra degli schermi interattivi, i Nativi sono simbionti strutturali della tecnologia, e le protesi tecnologiche che utilizzano dall'infanzia sono parte integrante della loro identità individuale e sociale. Fin da piccoli videogiocano, hanno un blog, e comunicano sui social network come Facebook o My Space. E con questa specie in via di apparizione che dovremo confrontarci noi immigranti digitali. Non sono nuovi barbari... Sono i nostri figli e sono, semplicemente, diversi.
Il mondo dei media e quello del Web rischiano seriamente, ognuno per proprio conto, di andare a rotoli, e con loro quel poco di libertà che racchiudono. Massimo Russo e Vittorio Zambardino, giornalisti che da oltre quindici anni \"si sporcano le mani\" con Internet, raccolgono la sfida e in dieci eretiche tesi raccontano gli scenari che si stanno profilando e che ci aspettano negli anni a venire. Crediamo che una cultura e un modo di raccontare il mondo siano al tramonto, ma che il giornalismo vada salvato dalla crisi dei giornali, perché la realtà esiste ancora e va raccontata. Crediamo che, se continua a vivere la Rete come un'anomalia da ridurre al \"mondo reale\", la politica ne ucciderà la libertà di espressione. Crediamo che nel digitale ci siano i nuovi padroni dell'economia della conoscenza, non più buoni e più liberi dei padroni di prima: e crediamo che il popolo della Rete debba averne coscienza critica. Crediamo che il populismo non si fermerà davanti a Internet. E crediamo che la salvezza possa esserci solo facendo incontrare le parallele, tradendo tutti il proprio orto di appartenenza. Scrivendo insieme il racconto digitale del mondo. La conversazione continua su www.ereticidigitali.it
Ognuno di noi ha una propria identità, specchio vivente del nostro essere. Le impronte digitali ci caratterizzano come persone, come esseri umani, come uomini. Perché l'impronta di un uomo nel deserto marca l'intera esistenza come un inchiostro indelebile? La sorgente di un'oasi, dissimulata dai frutti aspri delle palme, non può dissetarci, ma può solo aumentare la nostra sete. L'uomo attinge da questa fonte infinite e infinite volte, stancandosi, cadendo, rialzandosi senza mai perdere la felicità ultima che lo lega nostalgicamente alla vita. Pur nella vittoria della mestizia o della caducità dell'esistenza, l'uomo non è restio dal pensare che le ferite degli scogli appartengano sempre e comunque al fragore delle onde, alla risacca e all'insondabile mare.